Maestro Kawamukai si presenti ai lettori di Quaderni d’Oriente.
Svolgo la professione di ingegnere, lavoro nel campo ottico e produco lenti a contatto, materiali di consumo per chirurgia, ed altri tipi di materiale specifico. Per quanto riguarda l’aikido sono un insegnante fuori dagli schemi in quanto non pratico professionalmente, nel senso che l’aikido non è la mia fonte principale di guadagno, però se qualcuno mi chiede di insegnargli una Via che conosco, io mi sento obbligato ad insegnare i principi dell’aikido.
Maestro quando iniziò a praticare aikido? In che modo si è avvicinato alla pratica di quest’arte?
Io sono nato a Kobe, città che proprio in questi tempi è stata sconvolta da un terribile terremoto. Iniziai a praticare aikido, se ricordo bene, all’età di 10 o 11 anni; ancora prima frequentavo un corso di judo che si teneva nella mia scuola, e proprio alle finali di judo, in quell’occasione ebbi la fortuna di assistere a delle dimostrazioni di aikido tenute dal M° Ueshiba, il fondatore dello stile. Egli era già in età avanzata, forse aveva, chissà, una settantina di anni, e rimasi affascinato dalla morbidezza dei suoi movimenti e dall’efficacia delle sue tecniche. Vederlo in azione era qualcosa di spettacolare. Il giorno dopo mi diedi da fare subito per cercare una palestra di aikido a Kobe: la trovai e abbandonai definitivamente il judo.
Quali furono i suoi maestri?
I miei maestri non insegnavano aikido di professione. Avevano studiato questa disciplina all’università. Ricordo ancora il mio primo maestro, Yokota Sensei: era molto umile e modesto nei suoi modi, ma era una persona di grande cultura e umanità, ed era inoltre molto qualificato come insegnante di aikido. Proveniva dall’Università di Tokyo, laureato in ingegneria navale. In seguito nella stessa palestra arrivò il M° Imaizumi, che attualmente insegna a New York.
Figlio del Ministro degli Affari Esteri, proveniva anch’egli da una università molto importante. Nella vicina città di Osaka, insegnava il conosciuto M° Kobaya shi, che fino a qualche tempo fa veniva spesso in Italia, ed io frequentemente mi andavo ad allenare da lui, ad Osaka, che non dista molto da Kobe.
In quei tempi ricevemmo parecchie visite del nostro fondatore O’ Sensei, ci recammo spesso alla sede centrale, frequentammo campi estivi di allenamento intensivo, insomma eravamo sempre in movimento…
Maestro, ci sembra di capire, che è difficile in Giappone trovare un insegnante di arti marziali che svolga questo ruolo di professione?
No, diciamo che ci sono degli insegnanti che dirigono grossi dojo dove praticano ed insegnano la loro disciplina, ma sono molto pochi. Sicuramente non vi sono le miriadi di palestre e club che invece prolificano in Europa e anche in Italia. In Giappone è lo stato che si prende carico dell’insegnamento e della preparazione fisica dei ragazzi. Fin dai primi anni delle elementari il ragazzo può scegliere tra molti corsi a carattere sportivo come il baseball, calcio, pallavolo ecc. oppure indirizzarsi alle arti marziali, e allora può scegliere judo, karate, kendo o aikido. La stessa cosa avviene durante gli anni delle superiori e infine all’università con l’iscrizione a club universitari. Praticamente non vi è alcuna ragione per cui un ragazzo debba iscriversi ad una palestra privata. Poi sopravviene il lavoro, e per i primi anni non c’è veramente il tempo per dedicarsi ad una attività esterna o quanto meno è molto difficile; magari se con gli anni si prende qualche chilo di troppo, ecco che può tornare utile l’iscrizione ad una palestra.
Per quale motivo lasciò il Giappone?
Ero allora un 2° dan, uno dei più giovani, quando decisi di partire per l’America. Il motivo erano gli studi universitari. Però prima di partire fui raccomandato a divese palestre americane e una volta sul posto venni ben accolto. Lavorai con insegnanti locali e fondai diverse associazioni di aikido in molte città tra cui Chicago e New York dove attualmente vi insegna il M° Yamada. Poi vi fu l’occasione di fare una gita universitaria in Europa, tra amici. Beh, lì rimasi, perché finii tutti i soldi, compresi quelli del biglietto di ritorno. Doveva essere il 1964; ricordo che per finire l’università dovetti prendere la nave più volte finché riuscii a laurearmi. In seguito valutai se tornare in Giappone o rimanere in Europa. Scelsi l’Italia in quanto, in quel paese la vita mi sembrava più comoda. Cominciai col procurarmi un’attività artigianale, e pian piano sono riuscito a costituire una piccola industria che oggi rappresenta la mia attuale occupazione.
Ha qualche ricordo particolare di O’ Sensei?
Conobbi il fondatore e diverse volte ci parlai personalmente, allora ero molto giovane, provenivo dalla zona di Osaka, ancora non mi conosceva e probabilmente lo incuriosivo. Però le conversazioni allora intraprese, strettamente personali, non hanno un significato particolare per l’aikido che praticavo. Tra noi c’era un grossa differenza di età: lui aveva quasi 80 anni e io allora ne potevo avere solo 18.
Maestro Kawamukai, lei è stato uno dei pionieri dell’aikido in Italia. Cosa ricorda di quegli anni, quali sono state le sue esperienze di insegnamento?
In effetti dopo trent’anni di aikido potrei essere considerato un pioniere, ma io non ho fatto altro che insegnare a delle persone che volevano sinceramente apprendere quest’arte. Forse non tutti sanno che l’aikido in Italia è stato introdotto attraverso la signora Onoda, una scultrice giapponese che allora risiedeva in Italia da circa nove anni e conosceva molto bene O’ Sensei. Una volta il fondatore venne invitato a Honolulu dal M° Tohei; in quell’occasione, era il 1961, venne accompagnato dal maestro Tamura e doveva incontrare la signora Onoda. O’ Sensei credeva che potesse incontrare la sua amica scultrice appena uscito dal Giappone senza rendersi conto che Honolulu é molto più distante. Questo però vuol anche significare che questa scultrice era molto vicina a O’Sensei, e fu lei con una serie di contatti e conoscenze a far sbarcare l’aikido in Italia.
Come furono gli inizi in Italia? Che differenza c’è tra l’aikido praticato in Giappone e quello praticato in Italia?
Nei primi anni non ci fu una grossa diffusione dell’aikido. Il nostro termine di paragone era allora la Francia, nazione nella quale vi erano già numerose scuole e qualche decina di migliaia di praticanti, mentre in Italia non raggiungevamo neanche il migliaio. Fare dei confronti con il Giappone mi rimane molto difficile: l’aikido in Italia è storia molto recente, mentre quello praticato da me in Giappone risale ormai a trent’anni fa, anche se spesso, quando ritorno a casa mi alleno ancora. Sicuramente qualcosa è cambiato, sono subentrati nuovi maestri, ma non so con quale spirito venga oggi praticata questa arte. Spero però che i praticanti riescano a cogliere pienamente il significato di questa disciplina, mettere a fuoco quello che veramente cercano. A volte mi capita di incontrare delle persone che fraintendono il significato della pratica e credo che questa sia una grossa responsabilità da far ricadere sulle spalle degli istruttori perché sono loro che devono far capire il vero significato dell’aikido senza generare nei praticanti malintesi o fraintendimenti. In Giappone l’aikido non è stato mai molto popolare come invece lo è il judo e le altre arti marziali in genere; è stata da sempre considerata un’arte marziale nobile, forse la più nobile. Ogni praticante ritiene che la disciplina che pratica sia la migliore, ma l’aikido è stato da sempre appannaggio di pochi, destinato ad un élite, non a caso veniva insegnato solo nel corpo della Guardia Imperiale, e non in altri corpi dell’esercito. Forse è per questo motivo che lo si vede in quest’ottica.
Il suo è un aikido Aikikai. Ha trovato differenze con quello che I’ Aikikai, attraverso i suoi maestri, diffonde in Italia?
Non credo esista una sostanziale differenza. Io sono cresciuto nell’ Aikikai, allora era un ente giapponese che inviava i suoi membri ad insegnare per il mondo, ma non aveva nessun ritorno, non sapeva quello che in effetti accadeva.
Ogni maestro che veniva inviato era in effetti una specie di “ambasciatore” di O’ Sensei. Si crearono quindi diverse visioni dell’aikido e dell’Aikikai. In seguito però l’Aikikai si sviluppò fortemente, venne creata un’apposita segreteria internazionale. In Italia questo ente è attualmente rappresentato dal M° Tada, inviato storicamente dal Giappone, ma ancora prima, nell’estate del 1964, venne il M° Kobayashi, che io conoscevo molto bene.
Assieme a lui decidemmo di proporre al M° Tada di venire ad insegnare in Italia. Ci furono altri collaboratori nei nomi del M° Fujimoto che si stabili a Milano, il M° Ikeda per Napoli e Salerno e comunque per il meridione, il M° Nemoto per il Piemonte. Io collaborai con il M° Tada fino alla fine degli anni ’70, periodo nel quale ebbi delle divergenze d’opinione e decisi di lasciare l’Aikikai. Inizialmente invitai personalmente il M° Fujimoto e sostenni a mie spese la diffusione dell’aikido.
Egli era allora inviato dal M° Tohei, mio supervisore in Giappone. Erano gli anni in cui il M° Tohei stava ancora con il M° Ueshiba, in quanto tutte le suddivisioni arrivarono in un secondo momento. Oggi il M° Fujimoto rappresenta l’Aikikai nell’Italia settentrionale. L’Aikikai con il M° Fujimoto ha una buona radice nel nord ed è ottimo il lavoro che egli sta svolgendo.
Maestro qual è il giusto approccio all’aikido ?
Noi giapponesi riusciamo a capire meglio cosa significhi arte marziale, senza usare molte parole. Agli europei questo invece deve essere spiegato.
E’ molto difficile praticare un’arte marziale nel suo senso più profondo. E’ difficile praticare ed immaginare contemporaneamente il combattimento e l’idea di sopravvivenza.
Forse è più giusto praticare in un contesto più sportivo, poi in un secondo tempo dopo 10-15 anni associare la pratica ad un arricchimento culturale, filosofico, di meditazione.
A cosa punta durante le sue lezioni?
Nel mio insegnamento dell’aikido cerco di tenere presente l’equilibrio fisico e mentale del praticante, e in base a questo sviluppare la capacità della mente di generare la forza fisica.
Come organizza i suoi stage? Quali sono le associazioni che la invitano maggiormente?
Alcune associazioni mi chiamano più di altre. Oltre che nel centro sud, ci sono, anche nel nord, associazioni per le quali tengo dei seminari. Diciamo, che quando vengo invitato, vado sempre volentieri, l’importante è riuscire a trovare il tempo tra i miei impegni di lavoro. L’aikido è per me una passione, non un fatto economico.
Maestro ci sono molti modi di intendere l’aikido. Per lei cos’è l’aikido?
Questa è una domanda molto difficile.
Perché sono un giapponese che vive in Italia, perché non sono un’insegnante di professione, anche se partecipo attivamente all’insegnamento. Però voglio rispondere in un modo molto semplice. L’aikido è qualsiasi cosa ti aiuti a gestire la propria vita, a condurla nel migliore dei modi.
Ma non sono io, come insegnante, a stabilire come vivere, lascio sempre agli altri molta libertà. L’aikido insegna una cosa molto preziosa nella vita e cioè ricercare costantemente il proprio equilibrio.
QUADERNI D’ORIENTE – bimestrale di arti marziali e cultura orientale – Anno VI N. 18 – 1995