(M)  Introduzione-alla-storia-delle-religioni

Angelo Brelich –

Edizioni dell’Ateneo –

Pagine 368 –

Basta dare uno sguardo ad un testo qualsiasi di arti marziali, (ma meglio sarebbe leggere la tesi sull’Aikido di Chiara Bottelli https://www.tesionline.it/default/tesi.asp?idt=24418), per capire il ruolo svolto dalle religioni orientali nelle arti marziali.

Gli equivoci in cui è caduto Herrigel (Lo zen e il tiro con l’arco) sono la dimostrazione di quanto insidiosa sia la materia. Questo datato manuale introduttivo ha il pregio di rendere esplicito, attraverso il metodo storico-comparativo, ciò che da un lato differenzia e dall’altro unisce quell’insieme di comportamenti e credenze che chiamiamo religioni.

Vengono descritti i ruoli che svolgono le “madri della pioggia” e gli sciamani tra i così detti “popoli primitivi” e spiegate le diversità esistenti tra le visioni del mondo dei popoli cacciatori e raccoglitori e quelli allevatori e coltivatori. Si passa poi all’analisi delle religioni nelle civiltà superiori dell’Egitto, dell’India Vedica e dell’Induismo, della Cina di Confucio e del Taoismo, si esamina l’ingresso del Buddismo in Giappone, e la conseguente codificazione delle credenze religiose preesistenti nello Shintoismo.

 

Naturalmente anche l’Ebraismo, il Cristianesimo, l’Islamismo e altre forme di monoteismo occupano importanti capitoli. Sincretismi, contaminazioni di credenze e visioni del mondo messe in relazione alle organizzazioni sociali che si sono andate sviluppando dalla preistoria ad oggi.

Una sezione, quella dedicata all’Oriente, che permette di avere una chiara visione d’insieme e di cogliere relazioni e differenze nel loro divenire storico.

Nell’introduzione vengono citate, oltre alla corrente di studi storico-comparativa propria dell’autore, anche quella di fenomenologia delle religioni a cui appartiene M. Eliade e la scuola storico- culturale di W. Schmidt e dei suoi seguaci.

C’è da dire che, sebbene la storia delle religioni sia riconosciuta come una scienza a sé stante, la sua diffusione non è vista molto di buon occhio da coloro che operano nei diversi ambiti religiosi, in quanto si ritiene inappropriata l’applicazione di metodi scientifici a una materia di questa natura.

D’altronde, non si può non osservare che: “Come spesso accade in altri campi della cultura- per esempio con la nozione di arte (ma c’è qualcosa del genere nelle culture”primitive”?)- noi prendiamo per essenza sovrastorica una formazione culturale, andando a cercarla in civiltà e tradizioni che non l’hanno affatto posseduta e elaborata. Il Dio di cui parliamo, pensando di ritrovarlo in forme differenti in tutte le lingue e culture, è anch’esso il risultato di una lunga elaborazione culturale. E il concetto di sacro, per esempio, non sembra pensabile al di fuori della tradizione latina che riservava il nome a ciò che era stato “consacrato” dall’autorità del popolo romano e dei suoi “pontefici”. La riduzione all’unità dei concetti e delle esperienze religiose non è senza rapporto con l’imperialismo occidentale che si è sempre legittimato in nome del monoteismo.”.

(Gianni Vattimo nella recensione del libro di Paolo Sarpi Si fa presto a dire Dio)

Gli equivoci recentemente emersi riguardo al famoso libro di Herrigel Lo zen e il tiro con l’arco (vedi in questa biblioteca), sono la dimostrazione di quanto fondate siano le osservazioni di Vattimo.